domenica 31 luglio 2011

XVIII Domenica del tempo ordinario

Prima lettura
Dal libro del profeta Isaia
Così dice il Signore:
"O voi tutti assetati, venite all'acqua, voi che non avete denaro, venite, comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte.
Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti.
Porgete l'orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete. Io stabilirò per voi un'alleanza eterna, i favori assicurati a Davide".
Parola di Dio.

Salmo responsoriale (Dal Salmo 144)

Apri la tua mano, Signore, e sazia ogni vivente

Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all'ira e grande nell'amore.
Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature.

Gli occhi di tutti a te sono rivolti in attesa
e tu dai loro il cibo a tempo opportuno.
Tu apri la tua mano
e sazi il desiderio di ogni vivente.

Giusto è il Signore in tutte le sue vie
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore è vicino a chiunque lo invoca,
a quanti lo invocano con sincerità.


Seconda lettura
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?
Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati.
Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.
Parola di Dio.

+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, quando udì [della morte di Giovanni Battista], Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte.
Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati.
Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui».
E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.
Parola del Signore.
 RIFLESSIONI

La Liturgia fa la scelta di alcuni brani della Parola di Dio per una migliore e più facile comprensione del messaggio evangelico. E’ una buona cosa e molto importante che ci sia anche la lettura personale per  completare e arricchire sempre più la conoscenza della Parola oltre i passi dati della Liturgia che si celebra ogni giorno.
In questa domenica, XVIII del tempo ordinario, la Liturgia ci presenta il brano di Matteo: la "moltiplicazione dei pani". Brano particolarmente importante nella tradizione evangelica e più conosciuto dal popolo cristiano.
Il brano si apre col riferire a Gesù la notizia, da parte dei discepoli di Giovanni il Battista, che il loro maestro è stato arrestato e ucciso da Erode. Questa notizia è importante e sconvolgente perché ci fa vedere come Gesù reagisce di fronte ad un simile avvenimento quale l’uccisione del suo predecessore: "Gesù si ritirò di là  in barca, verso un luogo solitario, in disparte".
Una reazione simile in Gesù, è notata sempre da Matteo, dopo aver descritto come la folla era stata saziata: "subito dopo, obbligò i discepoli a salire nella barca e a precederlo all'altra riva, mentre egli congedava la folla. E congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare".
Nel racconto della "moltiplicazione dei pani", non ci deve meravigliare il risultato ottenuto, aver sfamato una folla così numerosa; ci deve interessare il comportamento avuto da Gesù davanti ai due fatti: la scelta della solitudine. La stessa reazione di fronte a due avvenimenti opposti: il primo è l'evento tragico dell'arresto di Giovanni, il fallimento che potrebbe manifestare, la tristezza della morte di un amico, e un pericolo di morte anche per Lui stesso. Il secondo è l'evento felice di una folla saziata, quindi di un esito positivo.
Fallimento e riuscita provocano in Gesù la stessa reazione, lo stesso comportamento, la stessa decisione: la solitudine e la preghiera. Il fallimento può portare alla delusione e allo scoraggiamento; la riuscita invece può portare all’illusione, all’orgoglio. Solitudine e preghiera rappresentano l'atteggiamento normale di Gesù di fronte agli avvenimenti della vita.
Il Vangelo è la "narrazione" dell'esperienza di Gesù, del suo cammino verso la libertà: solitudine e preghiera sono la chiave interpretativa nel manifestare l'esperienza umana di Gesù.
La solitudine di Gesù non è ripiegamento su se stesso, è ascolto, dialogo con un Altro: è spazio per lasciarsi amare da Dio, dall’Altro e per amare Dio, l’Altro. Per questo Gesù, "sbarcando, vide una folla numerosa, ne ebbe compassione e curò i loro infermi". La solitudine di Gesù non è fuga, la sua preghiera non è alienazione: è esperienza dell'Amore che diventa la sua vita.
Non ci deve sfuggire il cuore del messaggio evangelico rivolto a noi: se Gesù ama le folle, se ama i suoi discepoli, è perché ama il Padre ed è amato dal Padre.
Il Padre ci ama, dobbiamo amare il Padre. Questo reciproco amore ci porta a vincere ogni paura, ogni difficoltà  e a donarci agli altri con generosità  e disinteresse. La paura rischia sempre di attanagliare il cuore dell'uomo, impedisce la condivisione, genera egoismo.
La condivisione deve portare alla necessità  di aiutare l’altro e non guardare a sé stesso, come ha fatto Gesù. Non ha guardato al suo interesse, alle sue necessità: viste le necessità  della folla opera il bene della folla guarendo i loro ammalati. Vuole che anche i discepoli  si prendano cura di quella folla dando loro da mangiare. Alle difficoltà  avanzate dai discepoli di avere solo cinque pani e due pesci, Gesù risponde “portatemeli qui”. Gesù guarda tutto e tutti con gli occhi dello Spirito Santo, i discepoli invece guardano tutto con gli occhi della carne.
Gesù credeva che il Padre non lo avrebbe abbandonato, invocò la benedizione sui pani e li moltiplicò, insegnando che il Padre quel poco che ciascuno tiene lo moltiplica quando quel poco, con gioia e generosità  si condivide con gli altri.
Con la preghiera fatta con fede, il Padre carica di amore e generosità  tutti coloro che vedendo il fratello nelle necessità  non gli chiude il cuore e condivide con lui quanto possiede.

sabato 30 luglio 2011

Sabato della XVII settimana T.O.

Dal libro del Levitico
Il Signore parlò a Mosè sul monte Sinai e disse: "Conterai sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni; queste sette settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni. Al decimo giorno del settimo mese, farai echeggiare il suono del corno; nel giorno dell'espiazione farete echeggiare il corno per tutta la terra. Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia.
Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non farete né semina né mietitura di quanto i campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate. Poiché è un giubileo: esso sarà per voi santo; potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi. In quest'anno del giubileo ciascuno tornerà nella sua proprietà. Quando vendete qualcosa al vostro prossimo o quando acquistate qualcosa dal vostro prossimo, nessuno faccia torto al fratello. Regolerai l'acquisto che farai dal tuo prossimo in base al numero degli anni trascorsi dopo l'ultimo giubileo: egli venderà a te in base agli anni di raccolto. Quanti più anni resteranno, tanto più aumenterai il prezzo; quanto minore sarà il tempo, tanto più ribasserai il prezzo, perché egli ti vende la somma dei raccolti.
Nessuno di voi opprima il suo prossimo; temi il tuo Dio, poiché io sono il Signore, vostro Dio".
Parola di Dio.

Salmo responsoriale (Dal Salmo 66)

Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti

Dio abbia pietà di noi e ci benedica,
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,
la tua salvezza fra tutte le genti.

Gioiscano le nazioni e si rallegrino,
perché giudichi i popoli con rettitudine,
governi le nazioni sulla terra.

La terra ha dato il suo frutto.
Ci benedica Dio, il nostro Dio,
ci benedica Dio e lo temano
tutti i confini della terra.

+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo al tetrarca Erode giunse notizia della fama di Gesù. Egli disse ai suoi cortigiani: «Costui è Giovanni il Battista. È risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi!».
Erode infatti aveva arrestato Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo. Giovanni infatti gli diceva: «Non ti è lecito tenerla con te!». Erode, benché volesse farlo morire, ebbe paura della folla perché lo considerava un profeta.
Quando fu il compleanno di Erode, la figlia di Erodìade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode che egli le promise con giuramento di darle quello che avesse chiesto. Ella, istigata da sua madre, disse: «Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista».
Il re si rattristò, ma a motivo del giuramento e dei commensali ordinò che le venisse data e mandò a decapitare Giovanni nella prigione. La sua testa venne portata su un vassoio, fu data alla fanciulla e lei la portò a sua madre.
I suoi discepoli si presentarono a prendere il cadavere, lo seppellirono e andarono a informare Gesù.
Parola del Signore.
RIFLESSIONI
Nella prima lettura di oggi vediamo ancora una volta che in Dio gli opposti coincidono: infatti la legge che egli dona non è affatto costrittiva ma è liberante, perché propone la giustizia sociale, la distribuzione equa delle ricchezze, impone di liberare fisicamente, moralmente e spiritualmente, durante l'anno del “Giubileo” coloro che teniamo schiavi con il nostro egoismo e con i pregiudizi, a garanzia del rispetto dell'uomo chiunque egli sia.
Nel Vangelo appare un'altra "autorità", quella di Erode e si vede subito quanto questa figura sia meschina e contraddittoria. Erode è un uomo combattuto fra sentimenti opposti nei confronti di Giovanni il Battista. Da una parte egli lo ammira e lo teme, e, dall'altra non può sopportarlo, perché è venuto a disturbare la pace del suo matrimonio fasullo, di quella relazione, che egli certo non nasconde, con la cognata.
Erode ascolta volentieri le parole del Battista, lui, re fantoccio, inetto, che non riuscirà mai ad emulare anche solo lontanamente la gloria del padre Erode il grande, sente nelle parole del Profeta il fuoco della verità. Eppure non esiterà ad ucciderlo per non rimangiarsi la parola data durante un festino in cui una donna permalosa, Erodiade, sfrutta la sensualità della propria figlia Salomè per vendicare il suo amor proprio ferito.
Ma come uccidere un essere che la folla considera santo? L'occasione è data da un banchetto dato nel giorno del suo compleanno: il tetrarca, invaghito dalle danze sensuali di Salomè, cede alla richiesta di questa giovane, istigata dalla madre Erodiade, affinché le offra la testa del Battista su un vassoio. Erode acconsente per mantenere la promessa data alla ragazza, ma per lui è difficile dare l'ordine di uccidere Giovanni perché sa bene quanto il popolo lo ami e lo stimi come uomo di Dio.
Non sono il potere e la ricchezza a rendere forti e saldi coloro che governano. Anzi, molto spesso è proprio il contrario: il fatto di poter disporre di ogni cosa a loro piacere li rende incapaci di comprendere qual è il vero bene. Di fronte ad una debolezza della carne scaturita dal desiderio provocato dalla giovane Salomè, Erode non riesce a controllare i suoi istinti e lascia che, per la sua stupidità, venga ucciso un altro uomo.
Nei cuori degli esseri umani governano molto di più l'orgoglio e la superbia, che la giustizia e il rispetto per l'altro.
Troppo spesso lasciamo che i poteri di cui disponiamo siano al servizio del male anziché del bene e abusiamo della nostra posizione dominati dall'egoismo invece che dall'amore.

venerdì 29 luglio 2011

Venerdì della XVII settimana T.O.

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo
Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.
In questo si è manifestato l'amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito, perché noi avessimo la vita per mezzo di lui.
In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.
Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi. In questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha donato il suo Spirito.
E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo. Chiunque confessa che Gesù è il Figlio di Dio, Dio rimane in lui ed egli in Dio. E noi abbiamo conosciuto e creduto l'amore che Dio ha in noi.
Dio è amore; chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui.

Parola di Dio.

Salmo responsoriale (Dal Salmo 33)

Gustate e vedete com'è buono il Signore

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato.

Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce.

L'angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono, e li libera.
Gustate e vedete com'è buono il Signore;
beato l'uomo che in lui si rifugia.

Temete il Signore, suoi santi:
nulla manca a coloro che lo temono.
I leoni sono miseri e affamati,
ma a chi cerca il Signore non manca alcun bene.

+ Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa.
Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà».
Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell'ultimo giorno».
Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
Parola del Signore.
RIFLESSIONI
“Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio... In questo si è manifestato l'amore i Dio per noi: Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui... In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi”. In questo “inno all’amore”, colpisce in particolar modo la frase: “Carissimi, se Dio ci ha amato così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri”, perché in essa viene sottolineata la gratuità di Dio nell’amarci; e il nostro amarci non sarà altro che un riflesso del suo amore. La via divina che ci è indicata e data è lasciarci amare come piccoli ed essere strumenti gli uni per gli altri di questo amore.
Mi viene  in mente, rileggendo il brano, l’idea che esso andrebbe imparato a memoria per poterlo ripetere spesso a noi stessi e forse anche a qualcun altro, ma che potrebbe essere ripetuto anche come preghiera, perché basare la propria vita sulle parole di questo brano, significa essere in comunione con Dio, essere in continua preghiera!
Possiamo leggere sintetizzata in questi versi tutta l’opera di Dio, dalla creazione alla venuta dello Spirito, nella parola “amore”. La sintesi è che l’amore di Dio si manifesta e rivela pienamente nel suo Figlio offerto per noi. Tutto il mistero di Dio è concentrato in Gesù e nel suo amore. L'amore di Dio diventa addirittura incomprensibile giacché si fa carne per essere in grado di offrirsi in immolazione per il riscatto dei peccati degli uomini.
Contemplare la rivelazione di questi versetti ci fa rimanere nel suo precetto: “Amatevi a vicenda”. Questa è la semplice e impegnativa conseguenza di tutta la storia che Dio ha fatto per gli uomini. Di fronte ad un Dio simile non possiamo fare altro che restare muti e contemplativi, nell'attesa che, giunti al suo cospetto, siamo in grado esprimergli la nostra riconoscenza.
Nel Vangelo di oggi si ricorda la figura di Marta, sorella di Maria e di Lazzaro di Betania, un villaggio a circa tre chilometri da Gerusalemme. Nella loro casa ospitale Gesù amava sostare durante la predicazione in Giudea. Il Vangelo ce l’ha presentata in un altro brano come la donna di casa, sollecita e indaffarata per accogliere degnamente il gradito ospite, mentre la sorella Maria preferisce starsene quieta in ascolto delle parole del Maestro. L'avvilita e incompresa professione di massaia è riscattata da questa santa fattiva di nome Marta, che vuol dire semplicemente "signora".
Anche nel vangelo di oggi, colpisce il diverso atteggiamento delle due sorelle. Marta non riesce ad accettare il dolore per la morte del fratello Lazzaro, sembra quasi che, all'arrivo di Gesù, lo voglia rimproverare di non essere stato presente. E Gesù, allora, la spinge subito oltre il suo dolore, oltre il momento presente, le parla della resurrezione. Ella, come la maggior parte degli ebrei, credeva alla resurrezione nel giorno del giudizio finale, ma Gesù vuole suscitare in lei qualcosa di più profondo, desidera che riesca a vedere la presenza della resurrezione nella sua persona: "Io sono la resurrezione e la vita", dice a Marta.
Questo è necessario credere, questa è la via della fede, passare attraverso Cristo, attraverso la Parola fatta carne. E nel momento in cui Gesù dice queste parole a Marta, in lei si apre la luce della fede e testimonia la sua certezza che il maestro è veramente il Figlio di Dio.
Maria, invece, è seduta in casa, quasi in disparte, non parla, non sembra interessarsi neppure all'arrivo di Gesù, è il simbolo di coloro che, di fronte ad un dolore, ad una difficoltà, piccola o grande che sia, non riescono a reagire, si chiudono nella sofferenza e non lasciano spazio neppure al tocco di Dio, quasi che la disgrazia faccia perdere anche la fede e la speranza.
Marta, invece, che si fa incontro a Gesù e quasi lo rimprovera, è un po' l'emblema di coloro che di fronte agli ostacoli della vita, di fronte alla morte, alla malattia, si ribellano, se la prendono con Dio dicendo "perché proprio a me?", "io non meritavo questo", reazioni queste spesso impulsive, dettate dalle emozioni. Quando la vita ci mette alla prova entra in gioco tutta la nostra debolezza, tutta la nostra fragilità di creature umane e facciamo fatica a sollevare il cuore verso il Padre, ad abbandonarci alla sua volontà, a credere nel suo amore. Eppure sono proprio quelli i momenti in cui dobbiamo sentire con più forza e determinazione la verità di Cristo, nostro salvatore, nostro redentore, attraverso di lui ogni sofferenza può avere un senso, il senso del cammino verso la vita eterna.
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Il brano della prima lettera di San Giovanni è un invito che tutti dovrebbero accogliere. Lo spirito del vero amore non esiste più, c’è solo lo spirito di un amore egoistico e questo non è l’amore portato e annunciato da Gesù.
L’amore annunciato da Gesù è un amore-dono che bisogna dare a tutti e gratuitamente, specialmente ai nemici. Gesù, questo amore-dono l’ha lasciato proprio come comando: vi do un comando nuovo, che vi amiate gli uni gli altri. E ancora: Amate i vostri nemici. … da questo conosceranno che siete miei discepoli, se vi amate come Io vi ho amati.
Come ci ha amato e ci ama Gesù-Dio? Così come siamo! Non ha aspettato che cambiassimo e diventassimo migliori per amarci. Ci ama con tutti i nostri difetti, i nostri peccati, le nostre miserie. Ci ama così come siamo e non guarda a tutti i fallimenti commessi nella nostra vita offendendo la Sua Maestà col peccato.
È il momento di dare una forte sterzata alla nostra vita e incominciare ad amare Dio al di sopra di ogni cosa e il prossimo come noi stessi.
San Giovanni ci fa questa esortazione, ce la fa proprio adesso mentre stiamo leggendo: amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.
Anche se non sempre siamo stati capaci di amare, perché l’orgoglio e l’amor proprio ha accecato la mente e il cuore, incominciamo ad amare o facciamo nascere nel nostro cuore questo desiderio di amore e Gesù compirà l’opera mediante il Santo Spirito.
Lo Spirito Santo è datore di doni, quello dell’amore è il primo e il più grande dei doni.
Termino con il motto di Sant’Agostino: Ama e fai quello che vuoi. Io credo che chi ama veramente col cuore, non farà mai del male alla persona che ama.

giovedì 28 luglio 2011

Giovedì della XVII settimana T.O.

Dal libro dell'Esodo
Quando Mosè scese dal monte Sinai - le due tavole della Testimonianza si trovavano nelle mani di Mosè mentre egli scendeva dal monte - non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con lui. Ma Aronne e tutti gli Israeliti, vedendo che la pelle del suo viso era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a lui. Mosè allora li chiamò, e Aronne, con tutti i capi della comunità, tornò da lui. Mosè parlò a loro. Si avvicinarono dopo di loro tutti gli Israeliti ed egli ingiunse loro ciò che il Signore gli aveva ordinato sul monte Sinai.
Quando Mosè ebbe finito di parlare a loro, si pose un velo sul viso. Quando entrava davanti al Signore per parlare con lui, Mosè si toglieva il velo, fin quando non fosse uscito. Una volta uscito, riferiva agli Israeliti ciò che gli era stato ordinato.
Gli Israeliti, guardando in faccia Mosè, vedevano che la pelle del suo viso era raggiante. Poi egli si rimetteva il velo sul viso, fin quando non fosse di nuovo entrato a parlare con il Signore.
Parola di Dio.

Salmo responsoriale (Dal Salmo 98)

Tu sei santo, Signore nostro Dio

Esaltate il Signore nostro Dio,
prostratevi allo sgabello dei suoi piedi,
perché è santo!

Mosè e Aronne tra i suoi sacerdoti,
Samuele tra quanti invocavano il suo nome:
invocavano il Signore ed egli rispondeva.

Parlava loro da una colonna di nubi:
custodivano i suoi insegnamenti
e il precetto che aveva loro dato.

Esaltate il Signore nostro Dio,
prostratevi davanti alla sua santa montagna,
perché santo è il Signore, nostro Dio!

+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra».
Parola del Signore.
RIFLESSIONI
Con questo brano del vangelo di oggi il Signore completa il ricordo del vangelo delle tre parabole proclamato domenica 24 Luglio.
Ricorda la terza parabola, quella che paragona il regno dei cieli a una rete gettate per la pesca. La rete viene gettata nel mare di questo mondo e prende ogni genere di pesci: buoni, cattivi, ottimi, pessimi. Pesci di ogni specie e tipo. Non si può fare una pesca diversa. Dopo, tirata la rete a riva, viene fatta la selezione, la scelta dei pesci buoni, dei tipi di pesci e si gettano quelli non buoni, quelli pessimi.
Il risultato della pesca dimostra che ci sono due mondi: quello del bene e quello del male. Due mondi che non possono essere separati, debbono convivere necessariamente. Questi due mondi sono nel più intimo dell’uomo, nel suo cuore. Due mondi che si combattono tra loro e cercano di prendere il sopravvento l’uno sull’altro.
L’uomo, con la nascita, entra in questo mondo già carico del suo male e del suo bene. Cresce nel male o nel bene. Nella sua crescita va verso l'alto o verso il basso, o cresce di virtù in virtù o diventa schiavo dei vizi. Si perfeziona nell’amore o diventa colmo di odio e di rancore, di egoismo e di vanagloria.
Come non si possono avere due mondi distinti e separati, uno per i buoni e l'altro per i cattivi, così non si possono avere due regni distinti e separati: il regno di Dio e quello del principe di questo mondo, il Diavolo. Il regno del principe di questo mondo entra nel regno di Dio, il regno di Dio entra con potenza di grazia e di verità nel regno del principe di questo mondo. Buoni e cattivi, giusti ed empi, santi e peccatori vivranno nell'unica casa fino alla fine dei tempi.
Tutto questo non ci deve né scandalizzare, né scoraggiare. Gesù ha detto che le porte degli inferi non prevarranno. Il Signore Dio ha messo la sua dimora dentro di noi. Ci ha dato il suo unico Figlio che si è caricato di tutto il male e lo ha portato con sé sulla croce, liberandoci da questo pesantissimo fardello. Ci dona lo Spirito Santo ogni volta che lo chiediamo nel nome di Gesù, cos’altro dovrebbe darci? Un po’ di buona volontà da parte nostra a collaborare e il regno di Dio si radicherà sempre più dentro di noi.
A chi non vuole impegnarsi minimamente a fare qualche cosa per costruire dentro di lui il regno di Dio, dico: Non incorrere nel peccato contro lo Spirito Santo, PRESUNZIONE DI SALVARSI SENZA MERITI, peccato questo che non potrà mai essere perdonato da Dio. Ricordo anche il detto di un anziano sacerdote, che ho conosciuto personalmente, e che diceva ai suoi fedeli: Fratelli, sorelle, in paradiso non si va in carrozza.
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La riflessione del primo brano sembra riservare un valore del tutto particolare alla tenda del convegno, quale segno della presenza viva di Dio in mezzo al suo popolo, e luogo dove Israele può incontrarsi con lui. Sorge spontanea una domanda: è meglio concepire la presenza di Dio come legata a un luogo e a un culto, oppure come rapporto permanente e sempre nuovo, anche se vissuto in modo privato? La soluzione sta nel giusto mezzo: occorre vivere le celebrazioni liturgiche nel tempio, come momenti privilegiati per gustare una presenza particolare del Signore, affinché il culto agevoli la percezione dell'intervento divino nella nostra vita ordinaria. Dobbiamo cercare di vivere i due aspetti in modo armoniosamente complementare.
Dal brano del Vangelo si può capire facilmente quanto impegno la comprensione delle parabole richiede, infatti Gesù oggi ci parla attraverso un'ultima parabola: quella di ogni scriba fattosi discepolo del regno dei cieli.
Diventare discepolo implica la missione di insegnare agli altri. Lo scriba è lo specialista della Scrittura; se scopre in Gesù il tesoro nascosto, rinnova tutte le sue concezioni religiose e sa utilizzare egregiamente tutta la ricchezza dell'Antico Testamento accresciuta e perfezionata dal Nuovo.
I discepoli sono coloro che hanno compreso il messaggio racchiuso nei discorsi di Gesù attuandolo nella propria vita e divenendo i veri "figli del regno" perché ormai in possesso del tesoro e della perla preziosa. E la loro futura missione nella Chiesa è quella di insegnare ciò che hanno udito e potranno farlo solo se lo avranno capito e lo avranno veramente creduto e praticato.
Come si vede, Matteo incoraggia a riprendere anche gli scritti dell'Antico Testamento, in gran parte dimenticati nella predicazione perché in essi si trovano tante cose importanti da ricordare, che ci aiutano e ci scuotono.
In conclusione, tutte le parabole ci parlano del regno dei cieli; tutte ne rivelano un aspetto ed esprimono in primo luogo la realtà di Gesù, evento centrale della storia, che segna il definitivo punto di incontro tra il cielo e la terra. La parola di Dio, che è Gesù, viene seminata nella terra del mondo per farne germinare e crescere il popolo di Dio. Il discernimento ultimo tra i buoni e i cattivi è già operato in questo mondo dall'adesione o dal rifiuto nei confronti di Cristo, perché la prospettiva del giudizio finale, "quando gli angeli separeranno i cattivi dai buoni", non ci consente di attendere passivi l'ultimo giorno.
La lotta contro il male è d'obbligo anche se la prospettiva è di un combattimento che non finirà mai: Dio e il diavolo combattono ancora e il campo di battaglia è il cuore dell'uomo. Alla fine del combattimento sarà Cristo a concedere la vittoria a quelli che presenteranno i loro meriti.

mercoledì 27 luglio 2011

Mercoledì della XVII settimana T.O.

Dal libro dell'Esodo
Quando Mosè scese dal monte Sinai - le due tavole della Testimonianza si trovavano nelle mani di Mosè mentre egli scendeva dal monte - non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con lui. Ma Aronne e tutti gli Israeliti, vedendo che la pelle del suo viso era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a lui. Mosè allora li chiamò, e Aronne, con tutti i capi della comunità, tornò da lui. Mosè parlò a loro. Si avvicinarono dopo di loro tutti gli Israeliti ed egli ingiunse loro ciò che il Signore gli aveva ordinato sul monte Sinai.
Quando Mosè ebbe finito di parlare a loro, si pose un velo sul viso. Quando entrava davanti al Signore per parlare con lui, Mosè si toglieva il velo, fin quando non fosse uscito. Una volta uscito, riferiva agli Israeliti ciò che gli era stato ordinato.
Gli Israeliti, guardando in faccia Mosè, vedevano che la pelle del suo viso era raggiante. Poi egli si rimetteva il velo sul viso, fin quando non fosse di nuovo entrato a parlare con il Signore.
Parola di Dio.

Salmo responsoriale (Dal Salmo 98)

Tu sei santo, Signore nostro Dio

Esaltate il Signore nostro Dio,
prostratevi allo sgabello dei suoi piedi,
perché è santo!

Mosè e Aronne tra i suoi sacerdoti,
Samuele tra quanti invocavano il suo nome:
invocavano il Signore ed egli rispondeva.

Parlava loro da una colonna di nubi:
custodivano i suoi insegnamenti
e il precetto che aveva loro dato.

Esaltate il Signore nostro Dio,
prostratevi davanti alla sua santa montagna,
perché santo è il Signore, nostro Dio!

+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra».
Parola del Signore.
RIFLESSIONI
Il Signore continua a parlare in parabole. Mi auguro che il motivo non sia quello detto ai discepoli quando gli chiesero perché alla folle parlava in parabole. Gesù rispose: “Perché hanno orecchie e non odano, hanno occhi e non vedano”.
Se è questo il motivo poveri noi perché siamo tra coloro che hanno il cuore duro e non desiderano essere convertiti.
Bando a qualsiasi supposizione e prendiamo questa insistenza del Signore come atto di amore profondo per tutti e meditiamo le parabole che sono state nuovamente proposte in questa liturgia.
Il Signore scruta il cuore di tutti e vede che non sempre si è disposti, con tutto il cuore, ad accogliere la sua parola. Svegliamoci da questo sonno!
Domandiamoci singolarmente: sto io lavorando nel campo che è il mio cuore per trovare questo tesoro? Il tesoro che debbo cercare nel mio cuore è il regno dei cieli.
Volendo fare il più semplice dei riferimenti all’espressione, regno dei cieli, vuol dire che si debbono cercare le cose di lassù, le cose che sono nei cieli,  cosa c’è lassù se non Dio e ogni bene che Dio contiene? Chi ci può rivelare tutto questo? Solo lo Spirito Santo! Lo Spirito Santo datore di ogni sapienza ed intelligenza, consiglio e fortezza, scienza e intelletto, pietà e timore del Signore. che può tutto e tutto controlla, che penetra attraverso tutti gli spiriti intelligenti, puri, anche i più sottili.  
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L’Alleanza, infranta sul nascere con la costruzione del vitello d’oro, può ora, grazie all'intercessione di Mosè e all'accondiscendenza di Dio, essere rinnovata. Il Signore ha richiamato Mose sul monte dopo la sconfitta dell'idolatria nel suo popolo alle falde del monte e la distruzione del vitello d'oro. E il Signore lo ha rincuorato suscitando in lui, ancora una volta, il coraggio della mediazione per il popolo che ora avrebbe ricevuto la legge. Ma questa volta la situazione è diversa: la prima volta Dio stesso aveva fornito le due tavole di pietra, che poi Mosè aveva infranto a causa dell'indegnità di Israele; adesso invece, Mosè deve preparare le tavole e questo sta a significare la necessità di predisporre un atteggiamento di pu­ra accoglienza da parte del popolo.
Con Dio viene maturata la parola nuova, "le dieci parole" e ciò indica che al popolo viene ancora una volta accordata la fiducia di essere depositario privilegiato della volontà di Dio. Intanto il contatto tra Dio e Mosè ha prodotto un effetto nuovo: il volto di Mosè è stato trasfigurato e quasi contagiato della luce di Dio.
Il volto di Mosè diviene così il riflesso del volto di Dio: ne è il segno il timore di Aronne e del popolo di accostarvisi. Che questo fenomeno sia un sintomo particolare della presenza di Dio stesso è dato anche dalla necessità di velare questo volto, come segno di distanza e venerazione a somiglianza del velo posto nella tenda della riunione. A Israele, che aveva cercato invano di dare un volto a Dio, Egli mostra che il Suo volto rifulge sul volto dell'uomo, trasfigurato dall'incontro con Lui: Mosè nemmeno se ne accorge, ma la gente resta turbata nel vederlo.
Mosè, tuttavia, ritiene che il suo compito non è concluso senza una relazione dettagliata sulla legge che il Signore gli ha consegnato; perciò spiega ad Aronne e ai capi e a tutto il popolo quello che l'alleanza esige e quindi si assoggetta volontariamente alla emarginazione portando il velo che copre lo splendore della presenza di Dio che si manifesta nello splendore del suo volto.
Gli incontri, come quello avvenuto sul Sinai, si ripetono nella tenda del convegno. Dio, infatti, ha deciso di essere vicino al suo popolo e di camminare in alleanza e libertà con la gente che lo ha scelto.
I momenti in cui Mosè è libero ed è se stesso sono solo quelli del colloquio con Dio nella tenda e quelli della comunicazione della volontà di Dio al suo popolo: quando, cioè, Mosè è figlio ed amico di Dio e quando è maestro e mediatore.
Il fatto che Mosè si toglie il velo sia quando parla con Dio sia quando parla con i figli di Israele ha un significato profondo: il suo volto è raggiante, luminoso, potente, glorioso, ascolta e trasmette la parola del Signore! Questa radiosità e questo splendore dovrebbero essere anche sui nostri volti quando ci preoccupiamo del prossimo e facciamo la volontà di Dio.
Le parabole del tesoro e della perla di grande valore già commentate qualche giorno fa, ci ricordano ancora una volta che Gesù è il nostro tesoro: per possedere lui bisogna essere disposti a lasciare tutto e tutti.
Il vertice della parabola sta nella decisione dell'uomo davanti alla scoperta del tesoro: egli vende tutto ciò che ha allo scopo di ottenere il campo e di impossessarsi del tesoro. E' da notare che nella parabola del tesoro nascosto l'uomo lo trova casualmente, mentre nella parabola della perla preziosa è l'uomo che va in cerca.
Nella vita alcuni hanno incontrato Cristo senza averlo cercato, altri lo hanno cercato. In ogni caso il cuore dell'uomo è inquieto finché non trova il suo tesoro e la sua perla preziosa che è Cristo.

martedì 26 luglio 2011

Martedì della XVII settimana T.O.


Dal libro dell'Èsodo
In quei giorni, Mosè prendeva la tenda e la piantava fuori dell’accampamento, a una certa distanza dall’accampamento, e l’aveva chiamata tenda del convegno; appunto a questa tenda del convegno, posta fuori dell’accampamento, si recava chiunque volesse consultare il Signore.
Quando Mosè usciva per recarsi alla tenda, tutto il popolo si alzava in piedi, stando ciascuno all’ingresso della sua tenda: seguivano con lo sguardo Mosè, finché non fosse entrato nella tenda. Quando Mosè entrava nella tenda, scendeva la colonna di nube e restava all’ingresso della tenda, e parlava con Mosè. Tutto il popolo vedeva la colonna di nube, che stava all’ingresso della tenda, e tutti si alzavano e si prostravano ciascuno all’ingresso della propria tenda.
Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico. Poi questi tornava nell’accampamento, mentre il suo inserviente, il giovane Giosuè figlio di Nun, non si allontanava dall’interno della tenda.
Il Signore scese nella nube [sul monte Sinai], si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione».
Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò. Disse: «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervìce, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’ di noi la tua eredità».
Mosè rimase con il Signore quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiar pane e senza bere acqua. Egli scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole.  

Salmo Responsoriale

Misericordioso e pietoso è il Signore.

Il Signore compie cose giuste,
difende i diritti di tutti gli oppressi.
Ha fatto conoscere a Mosè le sue vie,
le sue opere ai figli d’Israele.

Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Non è in lite per sempre,
non rimane adirato in eterno.

Non ci tratta secondo i nostri peccati
e non ci ripaga secondo le nostre colpe.
Perché quanto il cielo è alto sulla terra,
così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono.

Quanto dista l’oriente dall’occidente,
così egli allontana da noi le nostre colpe.
Come è tenero un padre verso i figli,
così il Signore è tenero verso quelli che lo temono.  

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo».
Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti».
Parola del Signore.
RIFLESSIONI
Leggere la frase iniziale del brano tratto dall’Esodo mi ha fatto venire in mente l’immagine di questo popolo che vaga nel deserto per quarant’anni portandosi appresso, insieme alle loro tende e ai loro utensili, la “tenda del convegno”, quella che potrebbe definirsi il prototipo della nostra odierna chiesa. Una tenda da porre ad ogni sosta fuori dell’accampamento, dove Mosè può incontrare il Signore nei momenti di necessità, in particolar modo nei momenti in cui la coscienza rimordeva ed era necessario richiedere a questo Dio “lento all’ira e grande nell’amore” di cancellare le colpe del suo popolo. 
E immagino anche la gioia di Dio, racchiuso nella nube, che, nel momento in cui vede avvicinarsi Mosè alla tenda, già pregusta il momento in cui gli verrà chiesto il perdono e quanto grande sarà la sua gioia nel concederlo: perché, se quando ci si allontana da Dio il timore cresce, insieme ad esso dovrebbe anche aumentare la fiducia di non essere mai abbandonati e/o lasciati a noi stessi. Il Signore conosce fin troppo bene il limite a cui è sottoposta la condizione umana, e si china sulla sua creatura per risanarla e infonderle coraggio, perché per Dio, la richiesta di cancellare la colpa è già indice di cambiamento di vita.
Come Mosè che entra nella tenda del convegno dove Dio parla con lui «faccia a faccia», così il Signore Gesù ci fa entrare nel cuore stesso di Dio, ove non c’è spazio per la disperazione, ma dove rimane sempre accesa la lampada perenne della speranza e della fiducia che tutto non potrà che essere bene. Mosè, quando parla con il Signore Dio, non parla di se stesso ma intercede sempre per il popolo. Così pure il Signore Gesù non si tira indietro e spiega con cura ai suoi discepoli la parabola che ha appena raccontato alla folla, nella speranza e nella fiducia che l’ascolto docile e fiducioso possa realmente cambiare il modo di vivere e, soprattutto, possa neutralizzare l’opera del «nemico».
I discepoli, tornati a casa, chiedono a Gesù la spiegazione della parabola della zizzania. Gesù risponde riprendendo ognuno degli elementi della parabola e dando loro un significato: il campo è il mondo; il buon seme sono i membri del Regno; la zizzania sono i membri dell’avversario (maligno); il nemico è il diavolo; la mietitura è la fine dei tempi; i mietitori sono gli angeli. Il destino della zizzania è bruciare nella fornace, il destino del grano è brillare al sole nel Regno del Padre. Sembra una spiegazione molto telegrafica ma molto esaustiva.
Il seme buono e la zizzania crescono assieme, dice Gesù. Non ci sono campi separati, da una parte i buoni e dall’altra i cattivi. La zizzania è presente sia in ogni parte del mondo che nel cuore di ogni credente, come anche nella stessa comunità dei discepoli. Il bene e il male abitano in ciascun popolo, in ciascuna cultura, in ciascun cuore. E mentre nel corso della vita c’è da aspettare, da aver pazienza, al termine della vita, non c’è più scampo: arriva il momento della separazione.
È meglio impegnarsi a cambiare la zizzania in seme buono nel corso dei nostri giorni terreni, perché altrimenti al termine di essi arriverà inesorabile il momento della mietitura e il fuoco della fornace. La compresenza nel campo del seme buono, che produce frutto buono, e del seme cattivo, che produce zizzania, è anche il segno della compresenza nel nostro animo del desiderio buono della vita di Dio, mescolato ai desideri terreni. Noi non riusciamo, né in fondo vogliamo distaccarci dai desideri terreni, dalle cose e dalle persone di qui; ma vorremmo anche essere presso Dio, e vederlo, essere con Lui nel suo riposo, nella sua gioia, nella sua pace.
Per ottenere ciò bisogna nutrire la massima fiducia nell’efficacia dell’annuncio della parola di Dio, nonostante la persistenza del male nel mondo. La chiesa non va immaginata come una comunità di perfetti che si separa dal mondo, ma come una realtà radicata nel mondo, dove convivono insieme buoni e malvagi. Anzi, neppure al suo interno è possibile tracciare una linea di demarcazione tra i due gruppi, perché il bene e il male coesistono in ogni raggruppamento umano come in ogni singolo individuo, anche se credente. Rientra nell’economia divina lasciare che il bene e il male esistano l’uno accanto all’altro per un periodo indefinito, ma la separazione avrà certamente luogo alla fine.
Allora preghiamo, nostro Signore, e sforziamoci di abituarci a non giudicare severamente il prossimo, il fratello, sapendo che la zizzania cresce anche nel nostro cuore, e cerchiamo di essere invece il seme buono che porta amore e pace.

lunedì 25 luglio 2011

Lunedì della XVII settimana T.O.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, noi abbiamo un tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi. In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale. Cosicché in noi agisce la morte, in voi la vita.
Animati tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi. Tutto infatti è per voi, perché la grazia, accresciuta a opera di molti, faccia abbondare l'inno di ringraziamento, per la gloria di Dio.
Parola di Dio.

Salmo responsoriale (Dal Salmo 125)

Chi semina nelle lacrime mieterà nella gioia

Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion,
ci sembrava di sognare.
Allora la nostra bocca si riempì di sorriso,
la nostra lingua di gioia.

Allora si diceva tra le genti:
«Il Signore ha fatto grandi cose per loro».
Grandi cose ha fatto il Signore per noi:
eravamo pieni di gioia.

Ristabilisci, Signore, la nostra sorte,
come i torrenti del Negheb.
Chi semina nelle lacrime
mieterà nella gioia.

Nell'andare, se ne va piangendo,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con gioia,
portando i suoi covoni.

+ Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, si avvicinò a Gesù la madre dei figli di Zebedeo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di' che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dóminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Parola del Signore.
RIFLESSIONI
Il colloquio che si svolge nel brano del vangelo tra Gesù e la madre dei due Apostoli Giacomo e Giovanni, è fin troppo chiaro nell'indicarci lo spirito con cui ci si deve mettere al servizio degli altri nello spirito del vangelo.
La madre dei due Apostoli, prostrata davanti a Gesù, gli chiede: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?».
Con la risposta che Gesù da alla donna, apre un colloquio con i due  fratelli, per far capire che lui può aiutarli a bere il calice, per tutto il resto, anche essere alla sua destra e alla sua sinistra, spetta solo al Padre Celeste.
Tra Gesù e gli Apostoli vi è una distanza infinita. È la distanza che crea lo Spirito Santo. Gesù cammina con la verità e la comunione dello Spirito Santo. Gli Apostoli camminano con i loro pensieri e desideri di fango, di terra, pensieri e desideri della carne e del mondo. Per questo la parola di Gesù e quella degli Apostoli ha una distanza infinita. La comprensione della Parola, del Vangelo, dell’annuncio che Cristo è venuto a portare può avvenire solo nello Spirito di Dio e gli Apostoli ancora non hanno ricevuto lo Spirito di Dio. Solo dopo il ritorno di Gesù al Padre, gli Apostoli riceveranno lo Spirito Santo che Gesù aveva promesso loro e la distanza infinita tra la Parola di Dio e quella degli Apostoli viene annullata. Gli Apostoli, trasformati dallo Spirito Santo, incominciano a parlare come Gesù e a fare quello che faceva Gesù. Incominciano a bere il calice preannunciato da Gesù.   
Giacomo è il primo degli apostoli a subire il martirio, a bere il calice della passione per testimoniare con la vita la sua adesione a Cristo. La sequela di Gesù implica la partecipazione alla sua passione fino in fondo, donando la propria vita.
La logica del pensare e dell'agire dell’uomo, sono rovesciate,  come detto nella seconda lettera ai Corinzi. Proviamo a considerare quale messaggio viene da questi passi. Si parla di croce, di morte, di sofferenza, e tutto questo vissuto nella speranza che "colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù", ed ancora dice che chi vuole stare al comando, essere il primo, si deve fare servo di tutti.
Certo, i due discepoli parteciperanno fino in fondo all’esperienza di dolore e di morte di Gesù, ma quanto ai primi posti, essi dipendono da Dio, che li darà a coloro che si configureranno di più al suo Figlio Gesù. In altre parole i suoi discepoli non devono avere preoccupazioni di primi posti o di onori speciali, ma limitarsi ad essere solidali con lui fino alla fine. In tal modo egli, pur senza entrare direttamente nel tema specifico del regno di Dio, ne mette in luce una caratteristica che lo differenzia radicalmente dai regni di questo mondo: in esso non ci saranno più discriminazioni derivanti da meriti, privilegi o raccomandazioni.
Se leggiamo la nostra vita alla luce di questa parola e pensiamo all'incidenza che questa nuova visione dei ranghi, delle gerarchie ha nel nostro modo di agire quotidiano, nel rapporto con la comunità parrocchiale, con la famiglia, nell'ambito del lavoro e principalmente con noi stessi, scopriremo che il ricercare spasmodicamente il primo posto, in ordine al potere e non al servizio, potrebbe anche voler dire non sentirsi capaci di vivere con se stessi e peggio ancora con gli altri, ai quali si cerca sempre, necessariamente, di dimostrare qualcosa.
Forse anche Giacomo si sarà sentito infastidito dalla risposta di Gesù, ed anche mortificato, ma il suo martirio dimostra che quell'insegnamento di Gesù è stato recepito e vissuto fino alle estreme conseguenze.
Quindi se il discepolo partecipa veramente all’esperienza del suo Maestro, lo aspettano non trionfi e primi posti, ma sofferenza e morte. Alla fine però parteciperà alla sua gloria, come premio alla sua fedeltà a Cristo Gesù.