venerdì 4 novembre 2011

Venerdì della XXXI settimana T.O. - S. Carlo Borromeo


Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli miei, sono anch'io convinto, per quel che vi riguarda, che voi pure siete pieni di bontà, colmi di ogni conoscenza e capaci di correggervi l'un l'altro. Tuttavia, su alcuni punti, vi ho scritto con un po' di audacia, come per ricordarvi quello che già sapete, a motivo della grazia che mi è stata data da Dio per essere ministro di Cristo Gesù tra le genti, adempiendo il sacro ministero di annunciare il vangelo di Dio perché le genti divengano un'offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo.
Questo dunque è il mio vanto in Gesù Cristo nelle cose che riguardano Dio. Non oserei infatti dire nulla se non di quello che Cristo ha operato per mezzo mio per condurre le genti all'obbedienza, con parole e opere, con la potenza di segni e di prodigi, con la forza dello Spirito.
Così da Gerusalemme e in tutte le direzioni fino all'Illiria, ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo. Ma mi sono fatto un punto di onore di non annunciare il Vangelo dove era già conosciuto il nome di Cristo, per non costruire su un fondamento altrui, ma, come sta scritto: «Coloro ai quali non era stato annunciato, lo vedranno, e coloro che non ne avevano udito parlare, comprenderanno».
Parola di Dio.

Salmo responsoriale (Dal Salmo 97)

Agli occhi delle genti il Signore ha rivelato la sua giustizia.

Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo.

Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa d'Israele.

Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni!

+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: "Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare".
L'amministratore disse tra sé: "Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua".
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: "Tu quanto devi al mio padrone?". Quello rispose: "Cento barili d'olio". Gli disse: "Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta". Poi disse a un altro: "Tu quanto devi?". Rispose: "Cento misure di grano". Gli disse: "Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta".
Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce».
Parola del Signore.
 RIFLESSIONI
Secondo la mentalità corrente siamo portati a ritenere la predicazione del vangelo riserva dei soli addetti ai lavori, cioè del clero, e ad attribuire l'impegno pastorale solo a quelli che hanno deciso di dedicare parte del loro tempo a questo compito. Paolo, nella prima lettura, ci disincanta, però, e ci ricorda che, per il battesimo, tutti i cristiani sono divenuti profeti e sacerdoti. Ogni domenica, salendo simbolicamente i gradini dell'altare, dobbiamo noi pure offrire a Dio «i pagani» con i quali siamo venuti a contatto nel corso della settimana, dopo aver cercato di annunciare il vangelo con le parole e l'esempio. Questo compito profetico e sacerdotale non è delegabile, dal momento che il battesimo ha impresso in noi un carattere e un impegno, che sono indelebili e che dovremmo tutti riconoscere e portare avanti, ciascuno nell’ambito in cui opera: in famiglia, nel luogo di lavoro e in qualunque altro posto in cui ci sono «pagani» da convertire.
La parabola che Gesù ci propone oggi, come ogni parabola, se letta superficialmente, può apparire sconcertante, ma, come al solito, bisogna penetrarne il senso.
Gesù non loda affatto l'amministratore per la sua disonestà, ma per l'abilità nel risolvere la situazione: quando improvvisamente si vide senza lavoro seppe calcolare bene le cose e trovare una via di uscita. Ed è proprio questo modo di essere che Gesù ci invita a trasferire in un altro contesto: quello del Regno a cui apparteniamo come «figli della luce». Come i figli di questo mondo sanno essere esperti nelle loro cose, così anche i figli della luce devono imparare da sé ad essere esperti nella soluzione dei loro problemi, usando, però, i criteri del Regno e non i criteri di questo mondo. 
Gesù vuole che ciascuno di noi si adoperi in ogni modo per entrare nel regno di Dio, esorta insomma alla creatività dell’amore, a non rassegnarsi di fronte a nessuna difficoltà e tanto meno ad adagiarsi nella propria pigrizia o nella propria rassegnazione.

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