domenica 20 marzo 2011

II DOMENICA DI QUARESIMA

Dal libro della Gènesi

In quei giorni, il Signore disse ad Abram:
«Vàttene dalla tua terra,
dalla tua parentela
e dalla casa di tuo padre,
verso la terra che io ti indicherò.
Farò di te una grande nazione
e ti benedirò,
renderò grande il tuo nome
e possa tu essere una benedizione.
Benedirò coloro che ti benediranno
e coloro che ti malediranno maledirò,
e in te si diranno benedette
tutte le famiglie della terra».
Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore.

Parola di Dio

Salmo responsoriale

Donaci, Signore, il tuo amore: in te speriamo.
 
Retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
Egli ama la giustizia e il diritto;
dell’amore del Signore è piena la terra.

Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,

su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.

L’anima nostra attende il Signore:

egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo.

Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo

Figlio mio, con la forza di Dio, soffri con me per il Vangelo. Egli infatti ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia. Questa ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità, ma è stata rivelata ora, con la manifestazione del salvatore nostro Cristo Gesù. Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo.

Parola di Dio

+ Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».
Parola del Signore.

RIFLESSIONI
Dopo aver dato il primo annuncio della passione (e conseguente ribellione di Pietro), e dopo aver dettato ai suoi ascoltatori le condizioni per essere suoi discepoli, Gesù sale sul monte Tabor con Pietro, Giacomo e Giovanni - quelli che sono sempre presenti ai grandi avvenimenti - si trasfigura e rivela se stesso, la sua vera identità: finalmente un momento di gioia dopo tanta amarezza!
L’invito ad Abram di lasciare la sua terra e mettersi in cammino verso la terra che Dio gli vuole dare e l’immagine del vangelo in cui Gesù prese Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, ci vuole far capire che per stare con il Signore e contemplare la sua gloria, bisogna elevarsi al di sopra di questo mondo ed elevarsi quanto più è possibile. L’alto monte di cui parla Matteo e sul quale il Signore ha condotto i suoi tre discepoli, sta ad indicare che il Signore porta coloro che lo seguano e lo imitano nei cieli nuovi e terre nuove dove non c’è più pianto e dolori. 
Cosa significò la trasfigurazione per i tre discepoli che vi assistettero? E per tutta l’umanità attraverso i tempi fino al ritorno glorioso di Gesù alla fine dei tempi? Finora essi avevano conosciuto Gesù nella sua apparenza esterna, un uomo non diverso dagli altri, di cui conoscevano la provenienza, le abitudini, il timbro di voce... Ora conoscono un altro Gesù, il vero Gesù, quello che non si riesce a vedere con gli occhi di tutti i giorni, alla luce normale del sole, ma è frutto di una rivelazione improvvisa, di un cambiamento, di un dono. Per l’umanità la trasfigurazione deve portare a conoscere Gesù come figlio di Dio, quindi conoscere la divinità di Gesù, lo splendore della sua divinità e lo splendore della sua gloria. Splendore e gloria che riceveranno tutti quelli che riconoscono Gesù come signore della propria vita e lo onorano come tale. Non si può partecipare alla gloria di Dio se non si riconosce Gesù quale figlio di Dio e salvatore dell’umanità.
Annunciare questa verità comporta molto coraggio e sofferenza, perché bisogna vincere il proprio io. Chi è disposto a rinunciare al proprio io? Il vangelo di Gesù che è vangelo di via verità e vita porta l’uomo a vincere il proprio io, non in virtù delle nostre forze e capacità, ma in virtù di colui che ci ama e ci ha salvati, Gesù Cristo.
Questo dono speciale, gratuito e inaspettato, che fa sentire intimi e familiari tutti quelli che professano che Gesù è IL SIGNORE, è una sensazione che rinnova la fiducia, un'esperienza bellissima, un anticipo di paradiso, che rassicura i tre apostoli riguardo alla loro scelta di seguire Gesù. Quando poi si vedono avvolti dalla nube, simbolo della presenza di Dio, si spaventano, ma quella voce che afferma: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo", penso dia loro quella forza necessaria e indispensabile per sostenere con maggiore ardore Cristo Gesù e seguirlo fino alla croce, vederlo morire sulla croce e risorgere dai morti.
Forse è quello che tutti noi vorremmo ci capitasse, l’esperienza che serva a rafforzare la nostra fede, che ci consenta finalmente di vedere il volto di Gesù. Dobbiamo vedere il volto di Gesù in tutti coloro che ci circondano, in coloro che incontriamo al lavoro, per la strada perché tutti siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio. Se si arriva a contemplare il volto di Gesù in ogni uomo, si può dire di essere alle soglie del paradiso dove tutto è splendore.
Abbiamo visto come Abramo, Maria e Giuseppe, si sono abbandonati ai piani e al volere di Dio incondizionatamente, hanno creduto senza porsi domande, senza farsi venire alcun dubbio, hanno creduto e basta e in questo modo hanno portato a termine il progetto previsto per loro dal Signore.
Perché le cose cambino anche per noi, come per quei tre discepoli sul Tabor, bisogna che succeda nella nostra vita qualcosa di simile a quello che ci capita quando ci innamoriamo. Nell'innamoramento, la persona amata, che prima era uno sconosciuto, di colpo diventa l'unico, il solo al mondo che interessi. Tutto il resto indietreggia e diventa secondario, se non inesistente. Non si è capaci di pensare ad altro: il primo pensiero al mattino appena ci si sveglia va all’amato come pure l’ultimo, la sera prima di addormentarsi. Avviene una vera e propria trasfigurazione. La persona amata viene vista come in un alone luminoso. Tutto appare bello in lei, perfino i difetti. Spesso, ci si sente indegni di lei, perché l'amore vero genera umiltà.
Qualcosa del genere dovrebbe succedere anche verso Gesù, per diventare cristiani veri, convinti, gioiosi di esserlo. Nell'innamoramento umano, ci si inganna, attribuendo alla persona amata doti che forse non ha e con il tempo si è spesso costretti a ricredersi. Nel caso di Gesù, più si conosce e si sta insieme, più lo si ascolta leggendo la Sua Parola, più si scoprono nuovi motivi per essere innamorati di lui e più si resta confermati nella propria scelta.
Ma questa inaudita e straordinaria esperienza, ci ammonisce Paolo scrivendo a Timoteo, non è merito nostro o nostra conquista: è dono totale e gratuito di Dio che ci "dona ogni cosa" nel suo figlio Gesù. Ma è nostro compito far sì che questo possa avvenire. E qui riprendiamo il senso profondo della nostra penitenza quaresimale: permettere che Dio possa manifestarsi. Come? Fidandoci, partendo, come Abramo che segue l'invito di un Dio di cui non sa nulla. Partire significa credere in questo Dio di cui mi fido e che mi invita a compiere gesti che alle volte non capisco in profondità, rinunciando ai miei progetti per accogliere il suo Progetto.

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