giovedì 24 marzo 2011

II SETTIMANA DI QUARESIMA (Giovedì)

Dal libro del profeta Geremìa

Così dice il Signore:
«Maledetto l’uomo che confida nell’uomo,
e pone nella carne il suo sostegno,
allontanando il suo cuore dal Signore.
Sarà come un tamerisco nella steppa;
non vedrà venire il bene,
dimorerà in luoghi aridi nel deserto,
in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere.
Benedetto l’uomo che confida nel Signore
e il Signore è la sua fiducia.
È come un albero piantato lungo un corso d’acqua,
verso la corrente stende le radici;
non teme quando viene il caldo,
le sue foglie rimangono verdi,
nell’anno della siccità non si dà pena,
non smette di produrre frutti.
Niente è più infido del cuore
e difficilmente guarisce!
Chi lo può conoscere?
Io, il Signore, scruto la mente
e saggio i cuori,
per dare a ciascuno secondo la sua condotta,
secondo il frutto delle sue azioni».

Parola di Dio

Salmo responsoriale

Beato l’uomo che confida nel Signore.
 
Beato l’uomo che non entra nel consiglio dei malvagi,
non resta nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli arroganti,
ma nella legge del Signore trova la sua gioia,
la sua legge medita giorno e notte.

È come albero piantato lungo corsi d’acqua,

che dà frutto a suo tempo:
le sue foglie non appassiscono
e tutto quello che fa, riesce bene.

Non così, non così i malvagi,

ma come pula che il vento disperde;
poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti,
mentre la via dei malvagi va in rovina.

+ Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».
Parola del Signore

RIFLESSIONI
Geremia, in questa forte parola di Dio, vuole dirci che vive male chi impegna tutte le sue energie per ottenere i beni materiali, ne fa talmente la sua ragione di sicurezza che sostanzialmente ripone in essi tutta la sua fiducia, mentre – magari a poco a poco, quasi senza rendersene conto – abbandona la fiducia in Dio e si organizza la propria vita indipendentemente dal Signore cercando riparo nelle comodità e le sicurezze che la ricchezza sembra poter dare. 
Ma se Dio non è più il centro del cuore, la causa profonda della nostra pace, tutto il resto è un bene "posticcio" che presto vien meno. E’ necessario capire questo e soprattutto è necessario capire che il Signore ha un suo progetto per noi, che non sempre coincide col nostro, e che Egli ci dà le energie per realizzarlo: il suo è sempre stupendo perché è progetto d'amore, di abbandono dell'egoismo, fuori dalla superficialità e dall’autosufficienza che caratterizza questo nostro mondo.
Se noi facciamo crescere le nostre radici (come l'albero lungo il fiume) nel terreno fertile della fiducia nel suo amore sempre provvido, anche quando le apparenze sembrano dirci il contrario, non guarderemo più dunque al nostro “io”, ma contempleremo il nostro Signore Crocifisso e Risorto, consegnandogli anche la volontà di piccole realizzazioni concrete per aiutare i vari "Lazzaro" che attraversano la nostra giornata: fosse anche solo con un sorriso, una parola di conforto, l'ascolto, un piccolo aiuto.
Se la pagina del vangelo di oggi si fosse limitata a descriverci soltanto la situazione iniziale dell'uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e che ogni giorno banchettava lautamente, ignaro del povero mendicante Lazzaro, coperto di piaghe, fuori della sua porta, bramoso di sfamarsi delle briciole che cadevano dalla sua mensa e poi fossimo stati invitati a scegliere per noi la sorte dell'uno o dell'altro, sicuramente avremmo preferito la ricchezza e il benessere alla miseria estrema del povero mendicante. 
Il Signore però ci trasferisce in una dimensione ultraterrena, dove i criteri di giudizio non sono più quelli umani, ma scanditi da Dio stesso. Qui i ruoli si invertono: il povero Lazzaro è stato ritenuto degno di un premio eterno con Abramo e tutti i giusti. Il ricco, sazio dei suoi beni e delle sue ricchezze, di cui ha goduto egoisticamente nella vita terrena, si è privato colpevolmente di quelle ricchezze promesse da Dio in cielo per l'eternità. 
Fra i due c'è ormai un abisso e le grida e le richieste del dannato non possono essere accolte da Abramo perché egli per primo, quando era in vita, non ha voluto ascoltare i gemiti del povero Lazzaro. La mancanza di amore genera distanze incolmabili. Il ricco, pur tra i tormenti, conserva un briciolo di pietà verso i cinque fratelli che, ancora nel mondo, stanno vivendo dissolutamente come lui è vissuto e chiede ad Abramo di mandare Lazzaro ad avvertirli di cosa li aspetta continuando ad agire come stanno agendo. 
Ma la conversione a Dio e al suo volere, ci fa capire il Vangelo, non deve essere frutto di paura: sgorga dalla grazia, è dono dello Spirito. Fin quando il nostro spirito resta intrappolato dalla cupidigia, dai falsi idoli, dall'egoismo, l'amore vero e santificante dell'unico Dio non trova spazio.
La parabola presenta la vittoria finale di Dio sulle cattiverie e le perversità di chi si è sempre vantato delle proprie ricchezza, la dimensione del giusto equilibrio recuperato nel quale chi davvero merita viene finalmente ricompensato mentre cade nella condanna irreversibile chi si è auto lesionato con le proprie false certezze. Sia in questa vita e soprattutto al momento del giudizio, Dio attribuirà a ciascuno secondo i suoi meriti, favorendo chi è sempre stato destinato a soffrire e a soccombere.

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