martedì 26 luglio 2011

Martedì della XVII settimana T.O.


Dal libro dell'Èsodo
In quei giorni, Mosè prendeva la tenda e la piantava fuori dell’accampamento, a una certa distanza dall’accampamento, e l’aveva chiamata tenda del convegno; appunto a questa tenda del convegno, posta fuori dell’accampamento, si recava chiunque volesse consultare il Signore.
Quando Mosè usciva per recarsi alla tenda, tutto il popolo si alzava in piedi, stando ciascuno all’ingresso della sua tenda: seguivano con lo sguardo Mosè, finché non fosse entrato nella tenda. Quando Mosè entrava nella tenda, scendeva la colonna di nube e restava all’ingresso della tenda, e parlava con Mosè. Tutto il popolo vedeva la colonna di nube, che stava all’ingresso della tenda, e tutti si alzavano e si prostravano ciascuno all’ingresso della propria tenda.
Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico. Poi questi tornava nell’accampamento, mentre il suo inserviente, il giovane Giosuè figlio di Nun, non si allontanava dall’interno della tenda.
Il Signore scese nella nube [sul monte Sinai], si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Signore passò davanti a lui, proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione».
Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò. Disse: «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura cervìce, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’ di noi la tua eredità».
Mosè rimase con il Signore quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiar pane e senza bere acqua. Egli scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole.  

Salmo Responsoriale

Misericordioso e pietoso è il Signore.

Il Signore compie cose giuste,
difende i diritti di tutti gli oppressi.
Ha fatto conoscere a Mosè le sue vie,
le sue opere ai figli d’Israele.

Misericordioso e pietoso è il Signore,
lento all’ira e grande nell’amore.
Non è in lite per sempre,
non rimane adirato in eterno.

Non ci tratta secondo i nostri peccati
e non ci ripaga secondo le nostre colpe.
Perché quanto il cielo è alto sulla terra,
così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono.

Quanto dista l’oriente dall’occidente,
così egli allontana da noi le nostre colpe.
Come è tenero un padre verso i figli,
così il Signore è tenero verso quelli che lo temono.  

Dal vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo».
Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti».
Parola del Signore.
RIFLESSIONI
Leggere la frase iniziale del brano tratto dall’Esodo mi ha fatto venire in mente l’immagine di questo popolo che vaga nel deserto per quarant’anni portandosi appresso, insieme alle loro tende e ai loro utensili, la “tenda del convegno”, quella che potrebbe definirsi il prototipo della nostra odierna chiesa. Una tenda da porre ad ogni sosta fuori dell’accampamento, dove Mosè può incontrare il Signore nei momenti di necessità, in particolar modo nei momenti in cui la coscienza rimordeva ed era necessario richiedere a questo Dio “lento all’ira e grande nell’amore” di cancellare le colpe del suo popolo. 
E immagino anche la gioia di Dio, racchiuso nella nube, che, nel momento in cui vede avvicinarsi Mosè alla tenda, già pregusta il momento in cui gli verrà chiesto il perdono e quanto grande sarà la sua gioia nel concederlo: perché, se quando ci si allontana da Dio il timore cresce, insieme ad esso dovrebbe anche aumentare la fiducia di non essere mai abbandonati e/o lasciati a noi stessi. Il Signore conosce fin troppo bene il limite a cui è sottoposta la condizione umana, e si china sulla sua creatura per risanarla e infonderle coraggio, perché per Dio, la richiesta di cancellare la colpa è già indice di cambiamento di vita.
Come Mosè che entra nella tenda del convegno dove Dio parla con lui «faccia a faccia», così il Signore Gesù ci fa entrare nel cuore stesso di Dio, ove non c’è spazio per la disperazione, ma dove rimane sempre accesa la lampada perenne della speranza e della fiducia che tutto non potrà che essere bene. Mosè, quando parla con il Signore Dio, non parla di se stesso ma intercede sempre per il popolo. Così pure il Signore Gesù non si tira indietro e spiega con cura ai suoi discepoli la parabola che ha appena raccontato alla folla, nella speranza e nella fiducia che l’ascolto docile e fiducioso possa realmente cambiare il modo di vivere e, soprattutto, possa neutralizzare l’opera del «nemico».
I discepoli, tornati a casa, chiedono a Gesù la spiegazione della parabola della zizzania. Gesù risponde riprendendo ognuno degli elementi della parabola e dando loro un significato: il campo è il mondo; il buon seme sono i membri del Regno; la zizzania sono i membri dell’avversario (maligno); il nemico è il diavolo; la mietitura è la fine dei tempi; i mietitori sono gli angeli. Il destino della zizzania è bruciare nella fornace, il destino del grano è brillare al sole nel Regno del Padre. Sembra una spiegazione molto telegrafica ma molto esaustiva.
Il seme buono e la zizzania crescono assieme, dice Gesù. Non ci sono campi separati, da una parte i buoni e dall’altra i cattivi. La zizzania è presente sia in ogni parte del mondo che nel cuore di ogni credente, come anche nella stessa comunità dei discepoli. Il bene e il male abitano in ciascun popolo, in ciascuna cultura, in ciascun cuore. E mentre nel corso della vita c’è da aspettare, da aver pazienza, al termine della vita, non c’è più scampo: arriva il momento della separazione.
È meglio impegnarsi a cambiare la zizzania in seme buono nel corso dei nostri giorni terreni, perché altrimenti al termine di essi arriverà inesorabile il momento della mietitura e il fuoco della fornace. La compresenza nel campo del seme buono, che produce frutto buono, e del seme cattivo, che produce zizzania, è anche il segno della compresenza nel nostro animo del desiderio buono della vita di Dio, mescolato ai desideri terreni. Noi non riusciamo, né in fondo vogliamo distaccarci dai desideri terreni, dalle cose e dalle persone di qui; ma vorremmo anche essere presso Dio, e vederlo, essere con Lui nel suo riposo, nella sua gioia, nella sua pace.
Per ottenere ciò bisogna nutrire la massima fiducia nell’efficacia dell’annuncio della parola di Dio, nonostante la persistenza del male nel mondo. La chiesa non va immaginata come una comunità di perfetti che si separa dal mondo, ma come una realtà radicata nel mondo, dove convivono insieme buoni e malvagi. Anzi, neppure al suo interno è possibile tracciare una linea di demarcazione tra i due gruppi, perché il bene e il male coesistono in ogni raggruppamento umano come in ogni singolo individuo, anche se credente. Rientra nell’economia divina lasciare che il bene e il male esistano l’uno accanto all’altro per un periodo indefinito, ma la separazione avrà certamente luogo alla fine.
Allora preghiamo, nostro Signore, e sforziamoci di abituarci a non giudicare severamente il prossimo, il fratello, sapendo che la zizzania cresce anche nel nostro cuore, e cerchiamo di essere invece il seme buono che porta amore e pace.

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