lunedì 24 ottobre 2011

Lunedì della XXX settimana T.O.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani
Fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete.
Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!».
Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.
Parola di Dio.

Salmo responsoriale (Dal Salmo 67)

Il nostro Dio è un Dio che salva.

Sorga Dio e siano dispersi i suoi nemici
e fuggano davanti a lui quelli che lo odiano.
I giusti invece si rallegrano,
esultano davanti a Dio
e cantano di gioia.

Padre degli orfani e difensore delle vedove
è Dio nella sua santa dimora.
A chi è solo, Dio fa abitare una casa,
fa uscire con gioia i prigionieri.

Di giorno in giorno benedetto il Signore:
a noi Dio porta la salvezza.
Il nostro Dio è un Dio che salva;
al Signore Dio appartengono le porte della morte.

+ Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. C'era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta.
Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia». Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio.
Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, prese la parola e disse alla folla: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato».
Il Signore gli replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l'asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?».
Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.
Parola del Signore.
RIFLESSIONI

Gesù la vide, la chiamò a sè e disse: donna sei libera dalla tua infermità“. Gesù libera la donna e liberandola la guarisce. Come non identificare malattia e peccato in questa situazione. Quanto il peccato agisce sulla malattia e quanto la malattia è espressione di peccato? Per questa donna è chiaro che c’era uno “spirito che la teneva inferma“. Quindi una presenza del male abitava in lei. Quante volte anche noi facciamo entrare gli spiriti del male? Spirito di invidia, di mormorazioni, di fornicazione, di potere, di vanità… Ecco non sono mai senza conseguenze questi spiriti: essi ci procurano tristezza, paura, ansia, l’essere ricurvi su noi stessi come, ad esempio, la donna del Vangelo. Ma l’incontro con Gesù diventa liberatorio! Essere toccati da Gesù significa essere guariti dalle conseguenze del maligno!
Se si analizza attentamente la frase già riportata “Gesù la vide, la chiamò a sè e disse: donna sei libera dalla tua infermità“ possiamo pensare che certamente molti altri l’avevano vista, molti sicuramente la conoscevano, ma lo sguardo di Gesù è un vedere diverso, uno sguardo che non resta indifferente di fronte alla miseria, né che si ferma alla compassione o ad una parola di semplice conforto o incoraggiamento, ma entra in contatto, in relazione con lei, lasciando spazio alla misericordia.
E’ Gesù che prende l’iniziativa (tutto ha inizio dal Signore, parte da lui), che interpella questa donna che nella sua condizione se ne stava in disparte, ai margini. Non è la donna che cerca il Signore, che va verso di lui, che lo invoca o che chiede aiuto. E’ Gesù che, da solo, la vede, se ne rende conto, si commuove e la aiuta ad uscire dalla sua condizione di lontananza, benché fisicamente vicina. E’ Gesù che dice una parola efficace, accompagnata dal gesto che la guarisce, la libera non solo dalla sua infermità, ma soprattutto da tutte le sue conseguenze di lontananza (che sembravano impossibili da mutare, irrimediabilmente determinate, senza speranza) per cui può glorificare Dio e la folla può esultare di gioia.
Però là c’è il capo della sinagoga che, invece di rivolgere il suo sdegno direttamente a Gesù, lo fa per vie traverse e si rivolge invece alla folla, mostrando la sua ipocrisia perché non ha il coraggio di affrontare frontalmente il “colpevole”.
L’accusa riguarda l’infrazione del precetto del riposo del sabato. Ma Gesù prende le difese di quella poveretta guarita e quelle di tutti gli oppressi; con il suo comportamento poi, getta una luce più profonda su cosa significhi onorare Dio: Gesù denuncia infatti gli "ipocriti", perchè impediscono per una creatura umana quello che è concesso per abbeverare gli animali. Egli dunque non afferma un superamento della Legge, ma se mai la sua glorificazione. In tal modo, Gesù rivela l'ultimo e supremo volto del sabato, che è "vuoto" di opere umane, per manifestare in pienezza l'opera di Dio, l'opera della salvezza.

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